Articolo Corriere delle Alpi
Lotta di classe, deriva di sopraffazione degli uomini sulle donne, capacità di queste ultime di trasformarsi in eroine. E un passato che non sembra così lontano dal presente. “Le ateniesi”, il nuovo romanzo di Alessandro Barbero, storico e scrittore italiano, sarà presentato oggi alle 17.30 nel teatro del Centro Giovanni XXIII di Belluno, nell’ambito del ciclo “I grandi incontri” dell’associazione Liberal. Il lavoro di Barbero è ambientato nella Grecia del 411 a.C. Un affresco crudo di quell’epoca.
Quali motivazioni l’hanno spinta a scegliere proprio quel contesto storico? «La voglia di scrivere questo romanzo è nata leggendo un altro libro, “Il mondo di Atene” di Luciano Canfora», spiega Barbero, professore ordinario di Storia medievale, collaboratore di “La Stampa” e reti televisive Rai. «È un libro bellissimo con un titolo fuorviante, perché analizza in realtà solo il colpo di stato antidemocratico del 411 a.C.
Leggendolo mi è venuto da pensare che democrazia in pericolo, gruppetti che preparavano il colpo di stato e per spianargli la strada pianificavano azioni terroristiche per seminare paura, odio reciproco fra ricchi e poveri, oligarchi e democratici, mi ricordavano l’Italia degli anni Settanta. E di colpi mi è tornato in mente un delitto-simbolo di quegli anni, il massacro del Circeo, e mi sono detto che un delitto simile avrebbe potuto verificarsi anche in quella Atene…».
In quel passato vede uno specchio della nostra contemporaneità? I problemi restano gli stessi? «Sì, purché non irrigidiamo la storia in leggi o schemi: diciamo che ci sono questioni, come violenza maschile, guerra e pace, democrazia o tirannide, che si ripresentano in epoche diverse con caratteristiche bensì diverse, ma anche con delle similitudini abbastanza spinte».
Quale significato può avere parlare oggi della democrazia ateniese? «Noi usiamo il termine democrazia come se volesse dire sempre la stessa cosa. Non è così. Parlare della democrazia ateniese, che era una democrazia diretta, grandiosa e terribile, con tutte le decisioni nelle mani dei cittadini che votavano, significa prendere coscienza che i sistemi democratici possono essere molto diversi fra loro, e che magari quella che oggi chiamiamo democrazia non è più la stessa non dico di duemila, ma di cinquant’anni fa».
A preoccupare nella situazione odierna non è anche il clima di diffusa rassegnazione?
«Ma certo. È per questo che immagino, o almeno spero, che il mio romanzo possa contribuire a suscitare in chi lo legge degli interrogativi. C’è stata un’epoca in cui per la democrazia si era disposti a uccidere, e a rischiare la vita…».
Martina Reolon