Viaggiatori di carta. Come gli scrittori e i giornalisti hanno preso il posto dei geografi
Stenio Solinas
inviato speciale del Giornale
da “”VAGAMONDO viaggi e paesaggi, luoghi e incontri, miti e snobismi”” (Ed. Settecolori)
di Stenio SOLINAS
<< Fatti e Gesta – Malta, Cipro, Gibilterra >>
…. L’ indipendenza di Malta arrivò quattro anni dopo, ancora all’interno del Commonwealth, nel ‘ 74 divenne ufficialmente una Repubblica. Legata a Cipro da un passato remoto sotto il segno dei Cavalieri dell’ Ordine gerosolimitano di San Giovanni, l’ impronta veneziana e quella italiana a correre nei secoli, e da un passato prossimo sotto la corona inglese, differiva per un’ omogeneità etnica, una supremazia cattolica, l’ assenza di una presenza musulmana. Ciò rese il processo indipendentista meno traumatico, ma anche più tiepido: il referendum del 56 aveva visto la maggioranza della popolazione votare per l’ annessione all’ Inghilterra … il deteriorarsi delle relazioni con Londra è ben reso dalla frase di uno dei tanti diplomatici di colonie che vedevano darsi il benservito: << E’ meglio essere nemici che amici degli inglesi. Nel primo caso c’è la possibilità di essere comprati, nel secondo la certezza di essere venduti >>. Il contraccolpo che ne derivò trasformò Malta, per tutti gli anni Settanta, nel campione di un terzomondismo pittoresco e un po’ ciarlatano, con la Libia come interlocutore principe. Il decennio dei Novanta ha visto il ritorno dei nazionalisti al potere, la richiesta di ammissione all’Unione europea, il perdurare di rapporti privilegiati con l’ Italia di cui, chissà perché, noi italiani sappiamo molto poco. A volte il retaggio della storia condiziona più delle coordinate della geografia. Né stato, né nazione, né minoranza etnica, Gibilterra è un’ escrescenza del XIX secolo incistatasi nel XX e di cui chissà se ci libereremo nel XXI. La Spagna, che la sopporta, non farà una guerra per venirne a capo. L’ Inghilterra, a cui appartiene, non la sente come un peso insopportabile di cui dover fare a meno. Ai suoi abitanti va bene così: porto franco, luogo di traffici non sempre puliti, crocevia di affari non sempre ortodossi. Sei chilometri quadrati, ha più società per azioni che abitanti. Ex base militare, ex roccaforte inespugnabile davanti alla quale e per la quale si combatterono armate e si mossero flotte, vive e vegeta su un chiacchierato capitalismo off-shore. A volte l’ economia può più della politica e della geografia. Caso a sé Gibilterra lo è anche rispetto a un certo passato comune di Malta e Cipro. Ancora nel 1931 l’ italiano era una delle due lingue ufficiali della prima; fino alla seconda metà del Cinquecento, Famagosta e Nicosia sono le gemme della Serenissima Repubblica veneta nella seconda. I complicati e spesso burrascosi rapporti fra i Cavalieri di Malta, sovrani della isola per quasi tre secoli, e Venezia (i Cavalieri vedevano nel Turco un nemico da distruggere, i sudditi del doge un nemico con cui convivere e commerciare), miglioreranno via via nel tempo, sino a che, a fine Settecento, quando San Marco muove guerra a Tunisi, La Valletta ne ospita la flotta e i funerali dell’ ammiraglio Angelo Emo vengono celebrati a Floriana. Come scriverà lo storico maltese Francesco Panzavecchia, << le navi della Repubblica trovarono nel porto di Malta un’ altra Venezia nel Mediterraneo >>. Non è un caso che, pochi anni dopo, Napoleone spazzi via entrambe queste realtà: il nuovo mondo che preme per uscire non tollera le glorie in decadenza di quello vecchio. C’è insomma dietro due di questi tre nomi, una memoria collettiva fatta di luoghi e imprese, eroismi e vigliaccherie, opere d’ arte e commerci, genialità e quotidianità a noi direttamente collegata. In tempi di masochismo nazionale, riportarla alla luce non è un esercizio ozioso.
<< L’ ESTREMO ORIENTE DI UN POSSIBILE OCCIDENTE >>
Bella e fiera era anche il deputato curdo al parlamento turco Leyla Zana, allorché, nel dicembre del 1994, pronunciò in tribunale la sua arringa difensiva. In tailleur grigio, foulard al collo, i capelli lunghi e mossi sulle spalle, parla in un’ aula gremita, una fila di poliziotti alle spalle. << Respingo le accuse della Corte. Le nostre idee sono conosciute da tutti. Combattiamo nel rispetto della democrazia, per i diritti umani e la fratellanza dei popoli. Continueremo a farlo fino alla fine della nostra vita >>. Quindici anni di carcere, è la risposta: complicità con il disciolto e fuori legge Partito curdo dei lavoratori. In galera riceverà, l’ abbiamo detto, il premio Sacharov. Sessant’anni prima Hasan Hayri, indossando il costume nazionale curdo, era entrato alla Camera di Ankara. Lo aveva convinto Kemal Ataturk, il capo del governo. A Losanna le potenze europee chiedevano garanzie per la minoranza curda in Turchia. << Il popolo curdo e quello turco hanno deciso di vivere insieme >> disse Hayri, in curdo, di fronte a tutti i deputati e in tal senso scrisse ufficialmente ai delegati del Vecchio continente. Il documento fu letto e l’ accordo con la Turchia siglato. Dopo la firma, Hayri fu processato da un tribunale speciale: << Sei un separatista, vuoi secedere dalla Turchia e fare un Kurdistan indipendente >>. << No, no, sapete bene chi sono. Sono Hasan Hayri, ho tenuto un discorso in parlamento, ho scritto a Losanna: come potete dire che sono un secessionista ?>>. Gli risposero: << Quello che è certo è che un giorno, vestito da curdo, ti sei presentato al parlamento turco. Perciò sei un secessionista >>. Condannato a morte, gli chiesero quale fosse il suo ultimo desiderio: << Essere seppellito in un luogo dove i curdi possano passeggiare e sputarmi addosso per il mio tradimento >>. Una foto-ritratto, su uno sfondo liberty di marmi e fiori, ce lo presenta in pieno fulgore, frustino in mano, stivali, pantaloni con lo sbuffo, fusciacca, nastrino con le decorazioni, il colletto della camicia di velluto. Ha l’ aria di uno che crede nel prossimo.
<< AFGHANISTAN un medioevo con il kalashnikov >>
…. Eppure, nonostante le devastazioni, le distruzioni, le perdite, la miseria e il dolore, nonostante l’ Afghanistan come miraggio, come ricordo, come rimorso, nonostante il <<Lamento>> che Bruce Chatwin scrisse all’indomani dell’ invasione sovietica del 1979 ( <<Non torneranno in vita le cose che abbiamo amato: le immense giornate limpide e le azzurre calotte di ghiaccio sui monti; i campi di asfodeli che venivano dopo quelli di tulipani, o le pecore dalla grossa coda che chiazzavano le colline sopra Chagheharan …, non ci sdraieremo più davanti al Castello Rosso a guardare gli avvoltoi roteanti sopra la valle in cui fu ucciso il nipote di Genghiz … Non saliremo sulla testa del Buddha di Bamiyan, dritto nella sua nicchia come una balena in un bacino di carenaggio. Non dormiremo nelle tende dei nomadi, né daremo la scalata al minareto di Jam >>), questo Paese rimane l’ Atlante delle meraviglie e della diversità, pieno di storia abbandonata lungo le strade, i passi, le valli …