Riapre la stagione de I Grandi incontri di Liberal Belluno, l’associazione culturale fondata e presieduta da 15 anni da Rosalba Schenal.
Sabato 13 ottobre alle ore 17.30 al teatro del Centro Giovanni 23mo in piazza Piloni a Belluno, si terrà la conferenza dal titolo “Una coppia imperiale, Francesco Giuseppe e Sissi d’Asburgo” con relatore il professor Francesco Perfetti, storico, docente universitario, scrittore e giornalista. Conduce la serata Franco Tosolini, ricercatore e storico.
Abbiamo contattato il professor Francesco Perfetti che ci ha rilasciato l’intervista che segue.
Professor Perfetti, qual è la sua opinione su Decreto Salvini sull’immigrazione, bocciato dalle opposizioni, ma sostanzialmente approvato dall’Unione europea. E’ uno strumento efficace per dissuadere dagli sbarchi?
Il decreto «sicurezza e immigrazione» di Salvini è certamente un passo importante per affrontare la maggiore emergenza del momento, anche se, naturalmente, il problema della immigrazione è di tale complessità che non è sufficiente un decreto come quello approvato: esso dovrebbe essere accompagnato da una politica che impedisca, attraverso accordi e aiuti economici per il supporto delle loro economia. le partenze dai paesi di origine dei migranti. La verità è che il problema delle migrazioni ha una dimensione «epocale» nel senso che stiamo attraversando uno di quei momenti della storia nel quale assistiamo ai prodromi di un vero e proprio scontro di civiltà. Per ben capirlo bisognerebbe rileggere il classico lavoro del grande storico inglese Arnold Toynbee sulla storia comparata delle civiltà e sulla sua idea della storia come una dialettica continua fra «sfide» e «risposte». Naturalmente, il termine civiltà, nel caso in questione, va inteso in una accezione molto ampia. Ma per tornare a Salvini e alla sua domanda vorrei sottolineare che l’importanza e il significato positivo del decreto stanno, soprattutto, nel tracciare una netta distinzione fra l’immigrazione clandestina e quella connessa alla necessità di fuggire alle conseguenze di guerre.
Ha ragione il primo ministro ungherese Viktor Orban quando afferma che in assenza di interventi “la maggior parte dei paesi dell’Ue diventerà musulmana, le nazioni scompariranno, l’Occidente cadrà, mentre l’Europa non si rende nemmeno conto di essere occupata”?
Credo proprio che si tratti di una diagnosi esatta che non ha nulla a che fare con derive di tipo nazionalista o con discorsi di natura populista. Il rischio del processo di islamizzazione dell’Europa è un rischio reale legato al fatto che l’Europa, nei confronti dell’Islam, si mostra troppo remissiva, quasi fosse affetta da complessi di colpa. In altre parole si muove, per così dire, da una posizione «di rimessa» rinunciando a fissare paletti di reciprocità nel dialogo politico-culturale. Perché, per esempio, non si esige la reciprocità nell’esercizio della libertà di culto o nella autorizzazione a creare luoghi e strutture di culto? Il rischio, insomma, non è quello della islamizzazione del paese (che pure è un pericolo reale) ma, soprattutto, quello del suicidio dell’Europa e della sua cultura.
Professor Perfetti, lei cosa pensa della Resistenza. Sotto il profilo squisitamente militare influì sulla Liberazione del Paese, o fu irrilevante?
La Resistenza fu certamente, come ha osservato un fine studioso come Renzo De Felice, un grande evento storico che nessun «revisionismo» potrà mai negare. Tuttavia la sua immagine – a causa del predominio di una cultura di tipo radical-marxista o, se si preferisce, «gramsci-azionista» – è stata veicolata in maniera inesatta. Per esempio se ne è parlato come di un fenomeno compatto e unitario, mentre in realtà le sue componenti erano molteplici e varie perché, accanto a comunisti e azionisti, v’erano, per esempio, cattolici, liberali, monarchici per non dire dei militari, soprattutto internati nei campi tedeschi. E, ancora, è stata presentata come un «fenomeno di massa» che in realtà non fu perché, in realtà, la grande maggioranza del paese si era attestata in quella «zona grigia» (per usare una efficace espressione di De Felice) che attendeva e auspicava solo la fine della guerra. Il fatto stesso che non fosse un «fenomeno di massa» fa comprendere come il suo contributo effettivo alla Liberazione e alla riconquista delle libertà politiche sia stato importante ma non decisivo nel senso che il suo successo finale fu dovuto all’avanzata degli Alleati. Il che, ovviamente, non significa ridurne il valore morale.
Roberto De Nart