Ad un anno esatto dalla presentazione di “Sindrome Calimero – Per l’Italia che corre contro quella che le sega le gambe” ritorna a Belluno Davide Giacalone, giornalista e scrittore. Dal 1980 all’86 è stato segretario nazionale della Federazione Giovanile Repubblicana e dirigente del Partito repubblicano. Dall’81 all’82 capo della Segreteria del Presidente del Consiglio dei ministri, Giovanni Spadolini. Dall’87 al ’91 consigliere del ministro delle Poste e delle telecomunicazioni Oscar Mammì. È stato inoltre consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo delle società SIP, Italcable e Telespazio. L’autore sarà ospite sabato 21 gennaio 2017 alle ore 17,30 al teatro del Centro congressi Giovanni 23mo di Belluno per la rassegna culturale “I grandi incontri di Liberal” . Modera la serata Daniela De Donà, giornalista de Il Gazzettino.
Dottor Giacalone, per salvare Monte dei Paschi di Siena il consiglio dei ministri in una notte trova i 20 miliardi del fondo già approvato dal Parlamento, che evidentemente saranno scaricati sulla fiscalità generale, cioè su di noi contribuenti. Di quei 47miliardi di prestiti malati di Mps però, ci sono i soliti noti, non certo il salumiere. Tutti ricordiamo le immagini dei colletti bianchi con gli scatoloni in mano, licenziati dopo il crack della Lehman Brothers nel 2008 negli Usa. In Italia a pagare è sempre Pantalone?
“In Italia, da destra a sinistra, si hanno idee diverse su quali siano i problemi più urgenti e su quali ne siano le cause, ma si converge sul rimedio: la spesa pubblica. Il che fa crescere il debito, ovvero il nostro grande problema. Venendo a Monte dei Paschi, ma vale per tutte le banche i cui conti sono malati e nelle quali si è dovuto portare capitale pubblico, o soldi raccolti dalle altre banche: è evidente che una grossa impresa ha affidi più alti di una piccola, un salumificio più di un pizzicagnolo, quindi la sola dimensione non aiuta molto a capire. Il fatto è che fa le perdite e le sofferenze ce ne sono che sono state causate dalla crisi, ma sono il frutto di un modo malato e deprecabile di fare credito, favorendo amici e operazioni insensate, ma capaci di dare soddisfazioni a chi si vuol favorire. Nel momento in cui entrano capitali di altri su questa roba si deve fare chiarezza e pulizia, e, così come per la vendita di prodotti finanziari inappropriati a clienti che non avrebbero dovuto comprarli, chi ha sbagliato deve pagare. A questo si aggiunga che le nostre banche, nel loro insieme, hanno troppi sportelli, troppi dipendenti, troppi costi fissi. Non serve a nulla salvarle se non si cambia modello e non si prende atto che la gran parte delle operazioni, oggi, viene fatta on line. Roba dolorosa, ma è assai più doloroso buttare i soldi del contribuente”. Ai correntisti delle banche popolari venete è andata ancora peggio, perché hanno pagato di tasca loro senza che nessun paracadute di stato sia intervenuto. E anche qui, coloro che rifilavano titoti tossici a chi aveva risparmiato per una vita, sono rimasti impuniti. Come è possibile che accadano queste cose oggi?
“I correntisti possono essere chiamati a compartecipare di un fallimento solo se hanno depositi superiori a 100mila euro. Che non è il classico caso del risparmiatore. I primi a pagare sono gli azionisti e gli obbligazionisti (secondo le gradazione delle obbligazioni ed escluse le garantite). Era così anche nella nostra legge precedente ed è giusto che sia così. Quel che non è giusto è che divenga azionista od obbligazionista chi non sa neanche cosa sta facendo e a quali rischi (oltre che opportunità di guadagno, naturalmente) va incontro. Ma per risolvere questo problema non si devono socializzare le perdite, dopo che i guadagni erano privati. Si deve fare una cosa diversa: creare un fondo per ristorare i truffati. Il che presuppone, però, che si siano condannati i truffatori e che a loro si sia tolto tutto. Se non si procede in questo modo, il truffato, alla fine, sarà il contribuente”. In un suo recente articolo ha sottolineato che con il sistema proporzionale, dal 1948 al 1992, i parlamentari che cambiarono partito furono 11. Dal 1994 in poi, con i sistemi maggioritari, si contano centinaia di cambi di casacca. Lei attribuisce la causa allo spessore degli eletti e dei partiti. Ma non è forse il sistema elettorale porcellum che ha dato il potere alle segreterie di partito di eleggere personaggi “innocui”, e yesman?
“Certamente. E gli yesman, come di consueto, sono anche i primi a tradire e fare i propri esclusivi interessi. Mica dicevano “yes” per convinzione, ma per convenienza. Si può dire che abbiano una loro ripugnante coerenza. Le due cose si accompagnano, difatti la promozione di questa genia senza qualità altro non è che un depauperamento della qualità degli eletti, quindi anche della nostra vita collettiva”. Effetto Trump. Pare che il nuovo presidente americano abbia più a cuore le sorti interne del suo Paese e allenti la morsa in Europa e nei confronti di Putin. L’Italia, in questo scenario, potrà avere dei vantaggi, rispetto al vecchio corso Obama (Sanzioni, embargo commerciale con la Russia)?
“Cosa sarà la presidenza Trump lo sapremo solo quando sarà e farà il presidente. Fin qui ha detto di tutto. Una cosa, però, è bene tenerla a mente: il protezionismo in casa del secondo mercato occidentale (il primo siamo noi europei) non porta bene a chi vive di esportazioni, come noi italiani, e l¹allentamento della funzione militare degli Usa comporta un aumento della nostra (sia italiana che europea) spesa per la difesa. Le cose si tengono. Non è che di una stagione prendi solo quello che ti piace, devi valutarla nel suo insieme, in modo da non commettere errori. Ma, ripeto, cosa sarà quella presidenza cominceremo a saperlo fra poco”.
Roberto De Nart
Presentazione a cura di Rosalba Schenal
Signore e signori buonasera e buon anno nuovo.
Fedeli a una graditissima consuetudine apriamo l’anno con Davide Giacalone, la sua analisi sulla situazione economica, politica e sociale italiana nel contesto internazionale sarà, come al solito, assolutamente realistica e, nello stesso tempo, caratterizzata dalla sua incrollabile fiducia nelle potenzialità degli italiani.
Questa sera viene presentato in prima nazionale il nuovo lavoro di Giacalone “ Viva l’Europa Viva “, in libreria da giovedì.
Leggendo qualche pagina, mi hanno colpito e fatto riflettere queste quattro righe:
“ Il mondo nel quale viviamo è migliore di quello che abbiamo alle spalle. Proviamo a non dimenticare che è nostro dovere fare in modo che i più giovani possano dire la stessa cosa, quando il futuro prossimo sarà il tempo presente “.
Conduce Daniela De Donà.
Concludo ricordando che sono aperte le iscrizioni a Liberal per il nuovo anno e che espongono:
“E’ colpa dell’Europa, è colpa dell’euro! Dietro questa frase c’è il desiderio della classe politica italiana di non voler fare i conti con le proprie responsabilità”.
Lo ha detto Davide Giacalone, giornalista, autore di saggi ed inchieste, opinionista per Rtl 102.5 e Il Giornale, sabato pomeriggio al Centro congressi Giovanni 23mo di Belluno alla conferenza dal titolo “L’Italia da ridestare” per la rassegna culturale I grandi incontri di Liberal Belluno, l’associazione presieduta da Rosalba Schenal.
L’appuntamento di Belluno è stato anche occasione per la presentazione in prima assoluta del suo nuovo libro “Viva l’Europa viva”.
Nelle oltre due ore della conferenza, condotta da Daniela De Donà, Giacalone ha radiografato guasti e inefficienze del sistema Italia, con un affondo finale in vecchio stile, talvolta paternalistico, rivolto alle nuove generazioni.
“Sono tutti contro l’euro – afferma Giacalone – ma dimenticano che nel 1981 l’inflazione era al 21%. L’Italia, con l’introduzione dell’euro, ha vissuto la stessa esperienza dei francesi quando passarono dai vecchi ai nuovi franchi. Capitò che i prezzi si alzarono, ma la causa era dovuta alla speculazione. Dopo il 2002 con l’euro, l’inflazione in Italia è molto bassa, e tuttavia il prezzo di alcuni beni di consumo aumenta. La causa anche nel nostro caso non è del passaggio alla nuova moneta, ma della speculazione”.
Giacalone analizza attraverso dei grafici l’andamento economico dell’Italia rispetto all’eurozona. “Siamo la seconda potenza economica europea dopo la Germania. Tuttavia ritorneremo ai valori pre-crisi solo nel 2024, mentre l’eurozona ha già raggiunto quei valori nel 2015/2016. La lentezza dell’Italia è dovuta ai nostri ritardi interni. La nostra velocità di crescita l’abbiamo perduta a partire dal 1980, anno in cui inizia ad aumentare progressivamente la pressione fiscale. La nostra produzione industriale è sotto la media Ue, ma le nostre esportazioni sono cresciute più di quelle della Germania. Il nostroi debito pubblico, a partire dal 1861 vede delle impennate a causa delle due Guerre mondiali. Ma dal 1950 al 1970 c’è una forte crescita senza debito. Dal 2009 ad oggi il risparmio degli italiani è aumentato. Ma questo è sinonimo di paura del futuro. Per quanto riguarda le esportazioni il mercato mondiale vede in testa la Cina con il 15,5% seguita dall’Unione europea con il 15%. Poi ci sono gli Usa con 12,2%, Giappone 4,6%, Corea del Sud 3,8% e Russia 3,3%.
Dunque viviamo nell’area più ricca, eppure c’è gente che continua a predicare la distruzione!
C’è chi invoca la svalutazione, come negli anni ’70, ma sarebbe come scaldarsi con un fuoco di paglia”!
Giacalone ribadisce più volte che la crisi non va riferita a prima o dopo l’introduzione dell’euro, ma è legata alla globalizzazione.
“Abbiamo perso la II^ Guerra mondiale, ma abbiamo vinto la guerra fredda”, sostiene Giacalone, ricordando la scelta vincente, all’epoca contestata, di piazzare gli euromissili.
Giacalone parla di arretratezze burocratiche dell’Italia, tali da rendere oggi conveniente produrre in Svizzera piuttosto che a Milano. “Abbiamo maestranze qualificate, superiori, ma solo 1/3 lavora di chi è in età lavorativa”.
Sulla questione migranti Giacalone è molto chiaro. Stronca innanzitutto la terminologia “Migranti sono gli uccelli. Gli uomini possono essere profughi o emigranti. Profughi sono quelli che fuggono da guerre, e allora abbiamo il dovere di prenderli. Ma questi sono il 5%. Gli altri 95% non hanno diritto di restare e noi non abbiamo il dovere di farli rimanere. Ma possiamo avere una convenienza. La Germania, infatti, nel 2016 con gli emigranti ha aumentato la produzione del 4,2% ma ha investito per loro in case e istruzione. Non già come la formula italiana Boldrini-Salvini”!
Chiaro ed esaudiente anche sulle banche. “Perché dobbiamo dare i soldi dei contribuenti per salvare le banche”? Si chiede Giacalone. “Esiste dal 1936 in Italia e dal 2016 in Europa con il Bail in una normativa che tutela i risparmiatori per le somme fino a 100mila euro. Non è tutelato invece l’azionista e il titolare di obbligazioni derivate, che in caso di fallimento della banca perde il capitale investito. Questo perché azionisti e obbligazionisti sono investitori e non risparmiatori. Ma se al cittadino che chiede un mutuo in banca, per averlo viene chiesto di acquistare azioni o obbligazioni, allora siamo in presenza di un reato. E i responsabili vanno processati. Ma perché lo facevano? Il motivo è che le banche italiane, benché immuni da titoli non certificati (come invece Deutsche bank) sono sottocapitalizzate, e allora vendevano azioni e obbligazioni modificando il profilo di rischio del pensionato e della casalinga, per capitalizzare la banca. E allora ha ragione la Commissione europea quando dice non lo potevate fare”!
Sul nuovo presidente americano Giacalone sottolinea due aspetti. “Trump ha detto che gli americani non intendono più pagare la sicurezza militare degli altri stati. E dunque, se la nostra spesa pubblica per la difesa oggi è sotto l’1% in futuro dovrà essere rivista”. La seconda questione è quella del protezionismo “Compra americano e fai lavorare gli americani” ha detto Trump minacciando dazi alle importazioni. “L’autarchia di Trump – ha detto Giacalone – è una forma di miseria costosa. La realtà e il mercato piegherà questa propaganda”.
Caustico sulle nuove generazioni. “L’oggetto che più si vende a tutte le latitudini e che un domani vedremo custodito nei musei è quella bacchetta usata per i selfie”. Una realtà effimera che Giacalone contrappone, in chiusura, all’intervento dei soccorritori nell’emergenza dell’Abruzzo “di loro, che hanno camminato per ore nella neve per salvare delle vite, non conosciamo nemmeno i nomi. E io credo che sia questa la maggioranza dell’Italia, anche se poco rappresentata”!
(rdn)
IL LIBRO
Europei si nacque. Europeisti si era. Antieuropeisti o euroscettici lo si è diventati. Europeisti lo eravamo per normalità, molto anche per retorica, certo. Antieuropeisti lo si è diventati dopo avere goduto dei benefici dell’integrazione, quando i molti errori commessi e l’affermarsi dei vincoli parametrali hanno consentito di operare la più fantastica delle falsificazioni: i conti dissestati, la spesa pubblica improduttiva, il debito stellare, la connessa demoniaca pressione fiscale, non erano più conseguenza delle scelte che si erano fatte, del diffondersi dell’assistenzialismo, delle reclamate elemosine di Stato, dei contrasti al dispiegarsi del libero mercato e della tenace difesa delle rendite di posizione, ma erano tutte colpe dell’Europa. Ciliegiona sulla torta: la viltà delle classi dirigenti, politica e non solo, che anziché assumersi il compito di richiamare alla ragionevolezza e all’ordine hanno provato a scaricare il peso delle cose dovute su un’entità astratta e prevalente: ce lo chiede l’Europa. C’è del buono, in questo percorso degenerativo, che buono non è. Una delle cose buone è che dirsi europeisti non è più lo scontato e indistinguibile luogo comune, praticabile in qualche adunanza domenicale o in qualche rituale celebrazione scolastica. Dirsi europeisti è diventato un problema, un’affermazione che desta reazioni vivaci. Taluni credono sia quasi segno di follia. E io sono un europeista.