L´Italia che ci meritiamo
Davide Giacalone
voce di RTL 102.5
da “” TERZA REPUBBLICA “” (Ed. Rubbettino) di Davide Giacalone
< Introduzione >
L’ Italia è prigioniera del passato.
Guardate non solo la scena politica, ma quella sociale, economica, culturale: manca la classe dirigente. Ci sono molti soggetti che si agitano, ma pochi hanno in mente qualche cosa che abbia a che vedere con il futuro. I più cercano di aggiustare i conti con il passato. A scuola ci parlavano dell’ importanza della storia, i cui insegnamenti sarebbero sfuggiti agli ignoranti, destinati a commettere ancora e sempre gli stessi errori. Quello collettivo, però, è un problema diverso: abbiamo falsificato la nostra storia, fin quasi al nostro presente, con il risultato che siamo rimasti prigionieri di quella bugia. Non ci sono motivi, non ci sono insuperabili ostacoli oggettivi, che impediscono all’Italia di correre. Nello sviluppo della ricchezza, ma anche in quello della conoscenza e della civiltà. Invece arranchiamo, scivoliamo. In questo libro ho raccolto riflessioni su questioni specifiche, cercando sempre di indicare non solo il problema, ma anche la possibile soluzione. Naturalmente, ciascun lettore può dissentire, nel senso che ciascuno può ritenere si debba fare una cosa anziché un’ altra, si debba privilegiare un interesse anziché un altro. Guardandoci attorno, però, seguendo, ogni giorno, il nostro dibattito civile, ci accorgiamo che la discussione non si svolge secondo quei parametri, che sono ragionevoli e razionali, ma sobbalza da uno scontro all’altro, da una rissa all’altra, trascinando la rassegnazione, l’ incapacità di cambiare. Sono troppi anni, che procediamo in questo modo, e, oramai, anche il linguaggio è decaduto, la forma espressiva. Il vuoto d’ idee si maschera dietro le iperboli propagandistiche, ma è come nascondersi dietro un dito. Per questo ho ritenuto necessario dedicare l’ intera prima parte del libro al racconto di come si sia potuti giungere a questo punto. L’ ho scritto, il lettore mi consenta di dirlo, con passione e con dolore. So già quel che ne penseranno, almeno alcuni dei pochi che leggeranno: basta ! Ancora queste vecchie storie ! Basta, con le guerre ideologiche del secolo scorso !
Vogliono sembrare, almeno a se stessi, lungimiranti e interessati al futuro. Sono solo i continuatori del peggiore costume nazionale, quello che insegna a scordare il passato, senza neanche conoscerlo. Senza volerlo conoscere. Senza volere che lo si racconti. Credo, invece, che senza questo sforzo non si riesca a vivere il presente e non si riesca a costruire il futuro, condannandosi a essere solo dei residuati fossili di quel passato. In tutte le pagine, non solo quelle dedicate a scuola, lavoro, giustizia o alle tasse, in tutte c’è la voglia d’ essere utile al presente. Alle cose che abbiamo il dovere di fare. Ciascuno di noi. Perché il primo male che deriva dal vivere prigionieri del passato è il diffondersi dell’ irresponsabilità. Diamo la colpa alla società, al mercato, ai costumi, ai tempi, alle condizioni, a chi comanda (ma chi, comanda ?), alla politica, alla televisione, ciascuno a chi gli pare, ma nessuno a se stesso. Invece, quel che ci capita, nel male, è colpa nostra, e quel che creiamo, nel bene, è merito nostro. Ciascuno per la sua parte. Cerco di fare la mia. Mi rivolgo, idealmente, a quelli che meno leggeranno: i giovani. Non per un vezzo retorico, non perché, come suol dirsi, essi sono il futuro. No, all’opposto, perché sono le vittime (colpevoli) del passato che non passa. Sono i giovani che, se capissero, intenderebbero chiaramente che è loro interesse sovvertire l’ esistente, agitare la morta gora, non languire nella rassegnazione affluente, nel privilegio del consumo senza l’ orgoglio della produzione. Tocca a loro, perché molti dei loro padri e dei loro nonni sono dei morti, che ancora camminano e occupano, senza meriti, la scena.