Le grandi menzogne della storia contemporanea
Sandro Fontana
docente di Storia Contemporanea Universita´ di Brescia
da: “”LE GRANDI MENZOGNE DELLA STORIA CONTEMPORANEA –
dal mito della vittoria mutilata alla strage di Marzabotto”” (Ed. ARES)
di Sandro Fontana
< Introduzione >
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l’importanza dell’ insegnamento della storia in una società come la nostra aggredita da ogni sorta di manipolazione della verità, quanto per sottolineare come la narrazione della storia abbia sempre fatto parte degli strumenti con cui le classi dirigenti nei regimi più diversi cercano di conservare il loro potere.
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In effetti, nel Settecento un intellettuale spregiudicato come Voltaire sosteneva che ogni narrazione storica non è altro che uno scherzo atroce giocato dai vivi a danno dei morti, senza che questi abbiano la possibilità di difendersi. E’ stato detto anche che lo storico detiene spesso un potere superiore a quello del buon Dio. Mentre quest’ ultimo, una volta creata la realtà delle cose e determinata la successione degli avvenimenti, non è più in grado di modificare il passato, lo storico può variare la dinamica dei fatti e presentarci una ricostruzione falsificata delle vicende trascorse. In tempi recenti, il filosofo Norberto Bobbio nel presentare certe sue pagine dedicate a Carlo Cattaneo, forse il più illustre sconfitto della nostra storia risorgimentale, affermava non senza ragione che il cosidetto << tribunale della storia >> non ha il compito << di far vincere il giusto ma, al contrario, di assegnare l’ aureola del giusto a chi vince >>. Ma proprio queste e altre affermazioni, pur nel loro aspetto paradossale, devono costringerci a considerare quali gravi responsabilità siano affidate allo storico nell’esercizio del suo mestiere.
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D’altro canto, se si pensa a quante e quali realtà umane e civili sarebbero, senza l’ ausilio della scienza storica, cadute nell’oblio; se si pensa al cumulo quasi infinito di sofferenze, di lotte disperate, di oscuri sacrifici, di sforzi tenaci di liberazione di cui è materiato il faticoso cammino dell’ umanità; se si pensa al fatto che interi popoli sono stati fisicamente cancellati dalla Terra senza lasciare altro che deboli e incerte testimonianze; se si pensa a tutto ciò, si avverte anche il ruolo decisivo che l’ ufficio dello storico può rivestire nell’arricchimento progressivo della civiltà umana. Ma, allora, che cos’è la storia ? E come è possibile impedire che la scienza storica, da occasione di ricerca della verità, possa trasformarsi in strumento di manipolazione ? Come conciliare l’ inevitabile soggettività del lavoro storiografico con il rispetto rigoroso dei fatti oggettivi ? Intorno a domande come queste s’è a lungo interrogata la coscienza critica di tutti i grandi storici e pensatori, che hanno studiato a fondo la storia moderna e contemporanea, da Benedetto Croce a Lucien Febvre, da Marc Bloch a Fernand Braudel, da Federico Chabod a Leopold von Ranke, da Antonio Gramsci a Karl Popper, il cui pensiero e la cui esperienza troviamo raccolti, in maniera viva ed esemplare, dallo storico Giorgio Borsa in un’ opera ormai classica come l’ introduzione alla storia (Le Monnier, Firenze 1980).