Sabato 8 dicembre 2018 alle ore 17,30 nella sala teatro del Centro Giovanni 23mo in piazza Piloni a Belluno, per la rassegna culturale I Grandi incontri di Liberal Belluno, ritorna Giovanni Fasanella giornalista e saggista, autore di libri sulla storia segreta italiana. Tema della serata, la verità sull’assassinio del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro, descritta nel suo libro “Il puzzle Moro” tratto da testimonianze e documenti inglesi e americani desecretati. A condurre l’incontro sarà Franco Tosolini , ricercatore storico.
Ecco una breve anticipazione sulla conferenza rilasciata dall’autore Giovanni Fasanella.
Nel tuo libro, tratto dai documenti inglesi, sostieni che il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978 da parte delle Brigate Rosse altro non è che l’epilogo di una strategia geopolitica uscita dagli accordi di Yalta, secondo cui l’Italia apparteneva al Patto Atlantico e non poteva, nemmeno col voto democratico, avvicinarsi alla sfera sovietica. Moro rappresentava l’anello di congiunzione di una corrente Dc di sinistra con il Pci di Berlinguer e doveva sparire prima del voto, per evitare il sorpasso del Pci sulla Dc e disturbare gli equilibri. Secondo te le BR vennero manovrate attraverso agenti infiltrati, oppure arrivarono da sole al bersaglio Moro e i servizi e le potenze Nato lasciarono fare?
Questo è solo un aspetto del contesto internazionale in cui maturò e si consumò la tragedia di Aldo Moro. Il dialogo tra la Dc e il Pci, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta era temuto sia dai regimi dell’Est comunista che dalle amministrazioni americane. Gli uni e le altre erano terrorizzati dal “compromesso storico” (versione berlingueriana) o “convergenze parallele” (versione morotea) perché era una strategia politica che mirava al superamento degli equilibri internazionali decisi a Yalta e in qualche modo codificati nel trattato di pace del 1946-47. Nell’Urss e negli Usa, l’Italia di Moro e Berlinguer era vista come una minaccia da fronteggiare ad ogni costo e in qualsiasi modo. Anche ricorrendo a mezzi illegali. L’azione dell’Urss fu indirizzata soprattutto contro Berlinguer che nel 1973, durante una visita ufficiale in Bulgaria, sfuggì a un attentato. Nell’Occidente, invece, i piani illegali di intervento furano esaminati prima da un direttorio politico a 4, nato nella prima metà degli anni Settanta su iniziativa della casa Bianca e formato da Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania Federale; e poi, di fronte all’impotenza dei servizi d’intelligence americani, posti in stato d’accusa dal Congresso per una serie di scandali, furono elaborati da una commissione segreta britannica. Era composta da 15 membri, tutti alti funzionari del ministero degli Esteri e della Difesa. Tra le varie opzioni elaborate da quella commissione, c’era anche il progetto di un vero e proprio colpo di Stato da attuare in Italia. Ma il piano non incontrò i favori di Germania e Usa, perché ritenuto estremamente pericoloso. La Gran Bretagna elaborò quindi un piano di riserva: «Appoggio a una diversa azione sovversiva». Venne approvato nel giugno 1976. Quello che accadde in Italia da allora al 1978 è noto a tutti. Alla domanda se i servizi inglesi avessero infiltrati nelle Br, la risposta è: è ininfluente. Perché era sufficiente «lasciar fare». E le Brigate Rosse, fecero tutto quello che volevano, poterono agire del tutto indisturbate per due anni e mezzo, sino ai tragici 55 giorni del marzo-maggio 1978.
A tuo parere è paragonabile la situazione di oggi a quella di allora, sostituendo il peso dell’attuale potere economico (Bce, trattati europei) a quello delle alleanze militari di allora? Potrebbe ancora cadere qualche testa
se non c’è un allineamento dell’Italia alle politiche monetarie?
Scorretto fare dei paragoni meccanici tra la situazione attuale e quella all’epoca del caso Moro. I contesti sono molto diversi. Una riflessione sulle conseguenze economiche, politiche e geopolitiche dell’assassinio del leader democristiano sarebbe invece doverosa. Non c’è dubbio: la morte di Moro ha prodotto una serie di effetti a catena che sono all’origine della crisi di sistema che ha investito il nostro paese negli ultimi 20-30 anni, della debolezza delle sue classi dirigenti e della perdita di ruolo sulla scena internazionale. Una riflessione seria su questo aspetto non c’è mai stata. E la mancata elaborazione di quel trauma non solo ci rende deboli oggi, ma ci impedisce anche di avere una rotta lungo la quale costruire il nostro futuro.
(rdn)