Guerra e pace nell’Italia della guerra fredda
Andrea Guiso
docente di Storia contemporanea Università “La Sapienza” di Roma
dal libro “”La colomba e la spada”” di Andrea Guiso
La strutturazione di un antiamericanismo di massa in Europa Occidentale ha rivestito un ruolo essenziale nella politica di potenza sovietica quale espressione delle iniziative del Kominform volte a contrastare, nei primi anni della guerra fredda, l’ integrazione politica, militare e socio-economica tra Europa e Stati Uniti. Prendendo in esame il caso italiano e sulla base di una ricchissima documentazione, questo lavoro esplora le diverse articolazioni di un modello di mobilitazione politica, la << lotta per la pace >>, i cui caratteri sono il riflesso dell’ evoluzione del bolscevismo internazionale degli anni Venti e Trenta. Attraverso l’ analisi delle direttive strategiche, dei momenti organizzativi, dei linguaggi e dei costrutti simbolici utilizzati dal Pci in ambiti quali le proteste e i movimenti di piazza, le organizzazioni frontiste, la propaganda nell’esercito, il lavoro culturale e l’ arte emergono i contorni di una sensibilità ideologico-politica che ha sedimentato il << pensiero della guerra >> – e il contestuale ripudio del pacifismo – come meccanismo normativo ed elemento fondante di cultura politica.
“Armare o disarmare ? il Pci e le Forze Armate”
IL << LAVORO NELL’ESERCITO >>
Gli anni dei governi d’ unità nazionale furono il periodo di massima influenza diretta e indiretta dell’ Unione Sovietica in Italia. Il perdurare di un clima di collaborazione fra le potenze vincitrici aveva favorito nell’immediato dopoguerra una massiccia politica d’ inserimento di uomini e cellule del Pci nei gangli vitali dello stato, in particolare presso il Ministero della Difesa, nelle forze di polizia e nell’esercito. L’ estromissione delle sinistre dal governo nel maggio del 1947 e il consolidamento del controllo sull’ apparato politico-amministrativo da parte della coalizione centrista, furono accompagnati da una vasta opera di epurazione all’ interno delle istituzioni militari e delle forze di pubblica sicurezza. Con l’ ingresso dell’ Italia nell’ alleanza occidentale e la riorganizzazione dell’ esercito nel quadro strategico Nato, il << lavoro nelle Forze Armate >> rivestì un ruolo decisivo nella strategia del Pci. La questione venne posta in termini espliciti da Gian Carlo Pajetta nella seduta del Comitato centrale del 14-17 dicembre 1949:
<< Altro problema è quello dell’ esercito: nostro compito è quello di impedire che si costituisca l’ esercito di Pacciardi. Sottolineo al riguardo l’ importanza delle commissioni CARS e il pericolo di lasciarci sorprendere dagli avvenimenti. L’ obiettivo di Pacciardi è di costituire un esercito di mestiere in vista della guerra esterna e civile. Bisogna porsi questo problema seriamente. Fondamentalmente il problema è quell di sviluppare un buon lavoro di massa tra i soldati e gli ufficiali >>.
Nei partiti comunisti l’ attività di agitazione e propaganda tra i militari era vecchia quanto la Rivoluzione d’ Ottobre e costituiva un elemento non secondario della dottrina comunista sulle questioni della pace e della guerra. Suo caposaldo era la netta, irrevocabile condanna dell’anti militarismo ingenuo professato dagli anarchici e dalla Seconda Internazionale. Tale atteggiamento marcava un profondo distacco dalla tradizione della sinistra italiana. La direttiva generale che ispirò l’ azione dei comunisti italiani nell’ esercito fascista è riassunta dalla relazione di Fimmen (Edoardo D’ Onofrio) alla II Conferenza della Fgci (1927), dov’ erano presenti, tra gli altri, anche Gallo (Luigi Longo), Martini (Dozza), Ranieri (Secchia):
<< Noi dobbiamo disgregare l’ esercito in quanto forza della borghesia – affermò D’ Onofrio – ma dobbiamo conquistare i soldati per l’ unità di lotta con gli operai ed i contadini di cui essi stessi sono parte. Il nostro lavoro antimilitarista, oggi non lo conduciamo più come una volta negli anni del partito socialista. Allora noi dicevamo ai soldati: < Disertate >, noi dicevamo ai giovani: < Non andate a fare i soldati >. Noi oggi diciamo ai giovani lavoratori di andare a fare il soldato, di imparare come si adoperano le armi e di adoperarle al momento opportuno contro i borghesi, mai contro i proletari. Noi non siamo pacifisti, perché il pacifismo è un’ utopia sino a quando esiste il regime capitalista. Oggi il nostro compito è armarci, prepararci all’abbattimento del capitalismo. Noi conquistiamo l’ esercito sviluppando nel suo seno un’ attività di agitazione e di propaganda. Il nostro lavoro deve tendere a costituire le cellule comuniste nelle caserme. (…) Dobbiamo inculcare la convinzione tra i compagni che quando essi sono soldati non cessano di essere comunisti >>.