Sabato 12 maggio alle ore 17.30 in Sala Teatro del Centro Giovanni 23mo in piazza Piloni a Belluno, per la rassegna culturale I Grandi incontri di Liberal Belluno, si terrà la conferenza dal titolo “Dall’atomo all’io – Ipotesi scientifiche sull’origine della vita” con relatori il professor Piero Benvenuti e il professor Paolo Tortora.
Ecco l’intervista al professor Paolo Tortora, Professore ordinario di Biologia sperimentale all’Università Bicocca di Milano
Negli anni ’50 l’esperimento condotto da Stanley Miller e dal suo docente, il premio Nobel Harold Urey, dimostra che in particolari condizioni ambientali le molecole organiche si possono formare spontaneamente a partire da sostanze inorganiche più semplici. Nel 1986 il premio Nobel Walter Gilbert avanza la teoria che la prima molecola della vita comparsa sulla Terra sia stata l’RNA (Acido RiboNucleico). Nel 2009 il gruppo di ricerca dell’Università di Manchester diretto da John D. Sutherland, partendo da composti inorganici, riescono a sintetizzare in laboratorio i primi frammenti di molecola RNA. Nel 2016 l’idea che l’RNA sia stata la molecola autoreplicante originaria, che ha innescato lo sviluppo della vita sulla Terra arriva anche da una ricerca dei biochimici guidati da Thomas Carell della Ludwig-Maximilians-Universität a Monaco di Baviera.
Oggi a che punto siamo?
Dagli storici esperimenti di Stanley Miller ad oggi sono stati fatti progressi considerevoli nell’ambito della chimica prebiotica. Per chimica prebiotica si intende l’insieme di quegli eventi che hanno portato alla formazione sulla Terra primitiva delle “pietre di costruzione” (in inglese: building blocks), ingredienti fondamentali necessari per l’assemblaggio delle macromolecole biologiche (in particolare proteine e acidi nucleici). In modo semplificato si può affermare che le due principali classi di macromolecole, vale a dire proteine e acidi nucleici, sono polimeri lineari derivanti dall’assemblaggio di building blocks (nucleotidi per gli acidi nucleici e amminoacidi per le proteine). Gli importanti esperimenti di Carrell e Sutherland pubblicati di recente forniscono plausibili modalità chimiche di assemblaggio spontaneo dei nucleotidi a partire da semplici composti organici e in tal modo espandono le conoscenze già disponibili nell’ambito della chimica prebiotica.
D’altro canto è noto ormai da molti decenni che questa intrinseca tendenza della materia organica a evolvere verso la formazione del repertorio di composti prebiotici è constatabile a livello cosmico, come avvalorato dall’analisi di meteoriti, comete e da misure spettroscopiche sullo spazio interstellare. Si tratta indubbiamente di osservazioni affascinanti che suggeriscono che l’Universo sia “programmato” per generare la vita.
Tuttavia dalla chimica prebiotica alla comparsa delle forme di vita, anche le più elementari, il passo è gigantesco e ad oggi non esiste alcuna plausibile teoria che sia in grado di descrivere questa transizione. Le difficoltà sono sia di natura teorico-concettuale sia sperimentale.
Sul piano teorico-concettuale la maggiore difficoltà risiede nel fatto che in un sistema vivente vi sono repertori di molecole che interagiscono strettamente tra di loro, come le menzionate proteine e acidi nucleici (ma non solo). In particolare, gli acidi nucleici istruiscono la formazione delle proteine, mentre le proteine sostengono virtualmente tutte le funzioni biologiche, inclusa la loro stessa sintesi a partire dalla informazione contenuta negli acidi nucleici, come pure la duplicazione di questi ultimi. In qualche senso, l’essenza della vita è quindi l’interazione tra le parti. Ciò non di meno, sul piano strettamente chimico, proteine e acidi nucleici sono completamente distinti, né manifestano una intrinseca capacità di interagire tra di loro; non è quindi ovvio come si possa essere sviluppato un processo evolutivo che abbia portato a questa perfetta integrazione delle parti. Una via di uscita potrebbe essere data dal “mondo a RNA”. L’RNA è un particolare tipo di acido nucleico che in sperimentazioni relativamente recenti ha dimostrato la capacità di catalizzare determinate reazioni chimiche. La catalisi è una delle funzioni primarie delle proteine: di conseguenza, organismi contenenti RNA ma non proteine potrebbero in teoria sostenere le funzioni essenziali per la vita. Il possibile passaggio dal mondo a RNA al mondo biologico attuale è comunque un mistero.
Un altro sostanziale interrogativo sul piano teorico-concettuale risiede nella comparsa dell’informazione. I sistemi biologici sono sistemi ordinati e dotati di funzioni. Tutto ciò comporta l’esistenza di “istruzioni per l’uso” codificate in qualche modo. Oggi sappiamo che tali istruzioni sono depositate nel DNA secondo un codice ben definito. Ci si domanda come possa essersi formata questa informazione a partire dal mondo prebiotico di 3.5-4 miliardi di anni fa dove dominava il caso, vale a dire una raccolta disordinata di composti organici di varia natura.
Le difficoltà di ordine sperimentale risiedono invece nel fatto che la scienza può conoscere il mondo fisico solo quando è in grado di sviluppare sperimentazioni che siano riproducibili, cioè ripetibili più volte producendo sempre lo stesso risultato in uguali condizioni. In assenza di riproducibilità non è possibile fare avanzare la conoscenza. Relativamente al problema che stiamo trattando, noi abbiamo sott’occhio un unico “esperimento” che ha portato alla vita, quello da cui noi stessi siamo derivati. O più propriamente, non abbiamo sott’occhio quell’esperimento, ma le sue conseguenze, vale a dire la varietà di organismi oggi esistenti. Dunque, su una singolarità l’investigazione scientifica non può sviluppare teorie. Perché essa possa comprendere il sistema sotto indagine è indispensabile poter intervenire su di esso, modificando più e più volte le condizioni in cui esso si trova e verificando come risponde a tali “perturbazioni”. Evidentemente nulla del genere è possibile in merito alla generazione degli organismi viventi. Pertanto, i tentativi messi in atto per spiegare il processo non sono teorie ma ipotesi. Perché tali ipotesi possano diventare teorie sarebbe indispensabile riprodurre in laboratorio il percorso presupposto da ciascuna di esse, e alla fine dimostrare la comparsa di un organismo, sia pure il più semplice, a partire dalle condizioni e dagli ingredienti della chimica prebiotica. In qualche senso, si dovrebbero estendere gli esperimenti di Miller, Carrell e Sutherland fino a “fabbricare” una cellula. Come ulteriore conseguenza di questa incertezza, non abbiamo ancora la minima idea di quale sia la probabilità che la vita si sviluppi quando le condizioni chimico-fisiche al contorno le sono favorevoli.
A suo parere sono conciliabili religione e scienza. Oppure aveva ragione Schopenhauer nel dire “O si pensa o si crede”
Premetto che non sono né un teologo né un filosofo, e pertanto vi sono senza dubbio personalità che ben più autorevolmente di me possono dare risposta a tale domanda.
A titolo personale posso innanzitutto osservare che la scienza è uno strumento di conoscenza della realtà, nel suo ambito estremamente potente, ma che per il suo stesso statuto metodologico implica un limite ben definito. Il limite della scienza è che essa può attuare il suo metodo conoscitivo solo su ciò che è misurabile. Ciò che non lo è eccede il suo ambito e le sue potenzialità.
Ora, persino nel dominio dell’esperienza sensibile ritengo che, secondo ogni criterio di ragionevolezza, sia evidente l’esistenza di realtà non misurabili. Non è ad esempio misurabile la bellezza, ma neppure la coscienza di sé, di cui peraltro si possono misurare i correlati fisiologici (l’attivazione di certe aree del cervello, la sua attività elettrica, ecc.). Eppure nessuna persona ragionevole potrebbe asserire che l’esperienza soggettiva della coscienza non esista, oppure se esiste che coincida con dei tabulati che riportano una serie di misure! Vi sono quindi realtà della cui esistenza siamo certi e che non sono conoscibili mediante un approccio scientifico. Dunque, in buona sostanza, è evidente che esistono altri metodi di conoscenza, oltre a quello scientifico.
La seconda osservazione è che l’atto di fede è alla base di qualsiasi attività umana, inclusa l’investigazione scientifica. Quando io intraprendo una ricerca, parto dai dati acquisiti da altri ricercatori, dei quali mi fido. Non mi viene in mente di rifare tutti gli esperimenti condotti in precedenza per accertare che la base conoscitiva da cui dovrebbero iniziare i miei sia effettivamente affidabile. Se questo fosse il criterio, ogni attività umana dovrebbe reiniziare da zero ogni giorno.
Un atto di fede può essere quindi, in modo del tutto ragionevole, alla base della conoscenza, e in particolare del riconoscimento di realtà anche trascendenti, al cui riguardo in ogni caso la scienza per sua stessa natura non può portare ad alcun giudizio. Ci tengo a puntualizzare che, sebbene secondo una linea di pensiero la conoscenza scientifica avrebbe discreditato la fede nella trascendenza, non esiste neanche un dato scientifico che avvalori questa visione.
Pertanto, il punto fondamentale della fondatezza di un atto di fede non è il suo possibile conflitto con la conoscenza scientifica (che non esiste), ma la sua ragionevolezza, cioè il percorso che porta a ritenere credibile il contenuto di una rivelazione.
Vorrei aggiungere, per concludere, una osservazione indirettamente correlata alla domanda postami. Un elemento su cui molti pensatori moderni hanno riflettuto è che, come dato di fatto, la scienza in senso moderno, galileiana, si è sviluppata solo in ambito giudaico cristiano, salvo poi essere importata da molte altre culture. Si possono esprimere molte diverse valutazioni al riguardo, ma resta il fatto che un contesto culturale permeato dalla fede è stato l’unico idoneo a mettere in moto il moderno sviluppo scientifico di cui oggi beneficiamo.
Roberto De Nart
Paolo Tortora
Si è laureato in Scienze biologiche all’Università di Milano nel 1973
Da neolaureato ha lavorato al Dipartimento di Fisiologia e Biochimica generali dell’Università di Milano fino al 1979
Negli anni 1979-80 è stato Assistente universitario al Biochemisches Institut dell’Università di Freiburg i. Br. (Germania)
Nel 1981 è stato nominato Ricercatore nel sunnominato Dipartimento di Fisiologia e Biochimica generali
Nel 1988 è stato nominato Professore associato nello stesso Dipartimento
Nel 1989-1990 è stato visiting Professor nella Società di Biotecnologie Chiron Corporation (California, USA)
Dal 1998 è al Dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca
Dal 2000 è Professore ordinario presso lo stesso Dipartimento
Dal 2000 è stato a varie riprese Presidente dei Consiglio di Coordinamento didattico dei Corsi di Laurea biologici e coordinatore del Dottorato in Biologia all’Università di Milano-Bicocca
È Editore associato della rivista BMC Biochemistry e revisore scientifico per molteplici giornali a carattere biochimico e biologico-molecolare (FEBS Journal, FEBS Letters, Journal of Proteome Research, International Journal of Biological Macromolecules, Molecular Genetics and Metabolism, Reviews in Environmental Science and Bio/technology, Nature Communications), nonché di domande di finanziamento per enti nazionali e internazionali.
Vanta quattro brevetti e oltre cento pubblicazioni in riviste internazionali di biochimica, biologia molecolare e biologia cellulare.
Il suo attuale ambito di interessi scientifici è centrato sulla chimica delle proteine, con ricerche orientate in particolare verso: 1) la comprensione delle basi molecolari di malattie neurodegenerative causate da aggregazione proteica, e lo sviluppo di agenti farmacologici capaci di contrastarla; 2) la messa a punto di nanoparticelle capaci di rilascio mirato di farmaci antitumorali.