America 2008: La svolta?
Alberto Pasolini Zanelli
corrispondente da Washington del Giornale
da “”DALLA PARTE DI LEE – la vera storia della guerra di secessione americana””
(Edizioni Leonardo Facco) di Alberto Pasolini Zanelli
Che interesse può avere per noi la guerra di secessione americana ? Molto. Innanzitutto perché è stata la prima guerra moderna. Quella che tenne a battesimo la prima corazzata e il primo sommergibile, la prima guerra su suolo americano senza che almeno uno dei belligeranti fosse europeo, la prima guerra industriale, che reintrodusse nel mondo moderno la strategia militare della terra bruciata e del suo corollario diplomatico, la resa senza condizioni. Lincoln era disposto a quasi ogni compromesso sulla questione della schiavitù, pur di far salva l’Unione. Non era mai stato un abolizionista e aveva sempre promesso di rispettare i diritti degli Stati che intendevano conservare quella peculiare situazione. Lo ribadì anche nel suo discorso inaugurale alla Casa Bianca: “Non ho il diritto legale di abolirla negli Stati in cui esiste, né ho il desiderio di farlo”. Fino alle sconfitte di Vicksburg e Gettysburg, le due maggiori potenze europee stavano dalla parte del Sud e poco mancava al riconoscimento ufficiale della Confederazione, soprattutto da parte di Napoleoni III, che in quel periodo era impegnato sul fronte messicano. L’ eccezione fu l’ eroe e il mito degli sconfitti: Robert E. Lee. L’uomo a cavallo che tenne in scacco per quattro anni la macchina militare-industriale del Nord. L’ ultimo condottiero dello Ottocento, sintesi e simbolo della resistenza alla trasformazione, ma anche testimone della trasformazione stessa.
da “”IMPERI – Germania e Giappone nel mondo degli Americani”” (Edizioni Settecolori)
di Alberto Pasolini Zanelli
<< Le cicatrici della resa >>
Non tutti guarirono: Korecika Anami fu samurai fino all’ ultimo. Il senso del dovere lo obbligò a collaborare alla stesura dell’ atto di capitolazione. Poi tornò a casa, fece il bagno, si mise a bere saké e a penellare una poesia, il cui testo, a noi lontano nello spazio e nel tempo, pare banale: << Avendo ricevuto grandi favori / da Sua Maestà / nel momento di morire/ non ho niente da dire >>. Il più famoso poeta giapponese, Matsuo Basho, nel riferirsi a una battaglia di settecentocinquanta anni prima, aveva scelto queste parole: << Erba d’ estate al vento: / niente altro è rimasto / del sogno dei guerrieri >>. Korecika Anami aspettò l’ alba, poi si lacerò lo stomaco con la spada. L’ attendente lo decapitò.
da “”IMPERI II – Russia e Cina nel mondo degli Americani”” (Edizioni Settecolori)
di Alberto Pasolini Zanelli
<< L’ ultimo simulacro >>
Ventuno colpi di cannone accolsero l’ ultimo dei Romanov. Li sparava una nave da guerra russa che si era fatta incontro, alle foci della Neva, alla bara di Maria Feodorovna, madre di Nicola II, morta di vecchiaia e non di pallottole nel suo esilio danese nel lontano 1928, ricongiunta alla terra russa, diversi anni dopo l’ inumazione, nella cripta della chiesa dei Santi Pietro e Paolo dei familiari assassinati. E non molto dopo l’ ascesa agli altari del figlio. Un rito tutto di Chiesa, in una chiesa la più grande di Mosca, che Nicola II avrebbe tentato di “completare”, che Stalin aveva fatto distruggere assieme ad altri novecento templi, polverizzandoli con l’ esplosione di quintali di dinamite; che Eltzin aveva fatto ricostruire e dove si svolse il Sinodo che dichiarò Santo l’ ultimo Zar “per come è morto e non per come ha vissuto, come martire e non come regnante” e lo mise nei calendari accanto a Vladimir, che cristianizzò la Russia mille anni prima, a Danilo e a Dimitri, figlio di Ivan il terribile assassinato da Boris Godunov. Assieme a lui furoni beatificati la zarina Alessandra, il principe ereditario Alessio, le principes- se Olga, Tatiana, Maria e Anastasia, assieme a ottocentocinquantatre preti uccisi dalla Rivoluzione e dal regime che ne nacque. Una “rappresentanza” nutrita, ma simbolica: in soli due anni, fra il 1937 e 1938, la Nkvd (il nome di allora del Kgb) mise a morte oltre centosedicimila religiosi. Troppi anche per la memoria più pia e tenace.