Doveva essere una “città giardino”, una “Garden City” ispirata alle linee dell’urbanista inglese Ebenezer Howard, tracciate dall’ingegnere Pietro Emilio Emmer nel piano regolatore approvato dal governo il 6 febbraio del 1922. Case che non superavano i tre piani, attorniate da giardino o da orto e circondate da un muretto con ringhiera in ferro battuto. Ma il sogno dura meno di 10 anni. Emmer viene allontanato e il suo progetto affossato per far spazio ad appartamenti in numero doppio con una sola camera e cucina.
E’ l’antefatto di Porto Marghera, l’opera che nasce nel 1917 dalle bonifiche degli acquitrini dei Bottenighi per consentire lo sviluppo portuale di Venezia. La storia è descritta nel libro dal titolo “Porto Marghera. Cento anni di storie (1917 – 2017)” che contiene 15 narrazioni libere e due poesie. Il libro nasce dalla collaborazione di sedici autori e un poeta (170 pagine Helvetia editrice). Si tratta di un lavoro collettivo per i 100 anni di Porto Marghera, con il processo alla Montedison, raccontate da giornalisti e scrittori che hanno vissuto in quei luoghi.
A parlare dell’anniversario della nascita di Porto Marghera, giovedì 21 settembre alle ore 18.30 al ristorante Taverna di Belluno per la rassegna culturale “Conversazioni in Taverna” dell’Associazione Liberal Belluno, saranno i due curatori e coautori del libro, Cristiano Dorigo (scrittore, sceneggiatore) e Elisabetta Tiveron (scrittrice, curatrice editoriale) e tre dei 17 coautori; Gianfranco Bettin (giornalista, scrittore), Maurizio Dianese (scrittore, giornalista d’inchiesta), Gianluca Prestigiacomo (scrittore, giornalista).
Saranno presenti alla serata, inoltre, Teresa Friggione, moglie del commissario Alfredo Albanese ucciso a Venezia nel 1980 dalle Brigate Rosse. Le autorità Francesco Saverio Pavore già procuratore della Repubblica di Belluno. Il magistrato ha svolto la maggior parte dei suoi 50 anni di carriera a Venezia dove è stato giudice istruttore, pretore per 4 anni, sostituto procuratore per 14 anni, poi 4 anni in procura generale. Si è occupato della Mala del Brenta di Felice Maniero e di criminalità organizzata finalizzata ai sequestri di persona. E il questore di Belluno Michele Morelli, dirigente superiore della Polizia di Stato, anche lui ha prestato servizio a Venezia dal 2007 al 2014 alla Questura dove è stato vicario del questore con incarichi di sovrintendenza dell’ordine pubblico.
La serata, dunque, che sarà condotta da Roberto De Nart (fondatore Bellunopress), offre molti spunti di discussione. Una storia che racchiude cento anni di capitalismo industriale, con un filo grigio che lega Porto Marghera al Bellunese. Si chiama Giuseppe Volpi conte di Misurata, che nel 1915 a soli 27 anni fonda la Sade, Società adriatica di elettricità, e insieme a Cini e Gaggia costruiranno tutto il sistema di bacini artificiali e centrali idroelettriche del Bellunese. Nel 1917 è proprio Volpi uno dei protagonisti della realizzazione del nuovo Porto Marghera. Inevitabile il collegamento tra il maxi processo del Petrolchimico, e quello del Vajont. Da una parte i colossi industriali e dall’altra le vittime. Dirà la storia e lo sentiremo dagli ospiti, se il saldo dell’operazione Porto Marghera sia stato positivo per Venezia e per il Veneto e a quale prezzo, come conclude Sergio Tazzer, giornalista, storico, coautore del libro.
Porto Marghera cento anni di storie (1917-2017)
Gianfranco BETTIN
Maurizio DIANESE
Cristiano DORIGO
Gianluca PRESTIGIACOMO
Elisabetta TIVERON
Locandina dell’incontro
Invito dell’incontro
Articolo Giornale pre-incontro
Porto Marghera. Cento anni di storie (1917 – 2017). Conversazioni in Taverna, giovedì ore 18.30 via al primo appuntamento della stagione 2017-18 di Liberal Belluno
Set 17th, 2017 | By redazione | Category: Appuntamenti, Arte, Cultura, Spettacoli, Prima Pagina
Presentazione a cura di Rosalba Schenal
Signore e signori buonasera e ben tornati dopo la pausa estiva.
Ringrazio i numerosi ospiti per la loro presenza e per l’interessante argomento proposto: PORTO MARGHERA,
la storia del polo chimico-industriale e di tante persone, che a Marghera hanno lavorato e vissuto.
Un cordiale benvenuto:
alla signora Teresa FRIGGIONE moglie del dottor Alfredo ALBANESE Vice Dirigente della DIGOS di Venezia, ucciso dalle Brigate Rosse nel 1980.
Alla signora, Gianluca Prestigiacomo ha dedicato il suo racconto sulla figura e la morte del marito.
Gianfranco BETTIN scrittore e giornalista
Maurizio DIANESE giornalista d’inchiesta, specializzato in criminalità organizzata.
Cristiano DORIGO scrittore e operatore sociale.
Gianluca PRESTIGIACOMO scrittore e giornalista pubblicista.
Elisabetta TIVERON scrittrice e curatrice editoriale.
Michele MORELLI Questore di Belluno.
Francesco Saverio PAVONE Procuratore della Repubblica di Belluno fino al dicembre scorso.
Conduce Roberto DE NART.
Articolo Giornale post-incontro
Bellunopress – Dolomiti
Anni di piombo. Gli interrogativi senza risposta sull’uccisione del commissario Albanese. Indiscrezioni e perplessità alla conferenza di Liberal Belluno
Set 22nd, 2017 | By redazione | Category: Arte, Cultura, Spettacoli, Prima Pagina
Belluno, 22 settembre 2017 – Il 12 maggio 1980 a Mestre, le Brigate Rosse uccidono il commissario capo Alfredo Albanese, responsabile della Sezione antiterrorismo della Polizia di Stato di Venezia, perché era un bersaglio più facile da colpire rispetto all’obbiettivo iniziale ovvero il suo superiore, il capo della Digos di Venezia ed ex questore di Gorizia Umberto Pensato. La circostanza è emersa ieri sera nel corso della conferenza di presentazione del libro “Porto Marghera. Cento anni di storie (1917 – 2017)” che si è tenuta al ristorante Taverna di Belluno, organizzata dall’Associazione Liberal Belluno presieduta da Rosalba Schenal.
Alla serata erano presenti l’ex procuratore della Repubblica di Belluno Francesco Saverio Pavone, il questore di Belluno Michele Morelli, i 2 curatori del libro Cristiano Dorigo e Elisabetta Tiveron e due dei 16 autori, Maurizio Dianese scrittore, giornalista d’inchiesta e Gianluca Prestigiacomo, scrittore e giornalista.
La voce, peraltro priva di riscontri, secondo la quale il commissario Albanese era stato designato quale bersaglio delle B.R. in alternativa al commissario Pensato, che circolava all’epoca dei fatti nell’ambiente degli inquirenti, l’ha riferita il procuratore Francesco Saverio Pavone rivolgendosi a Teresa Friggione, vedova del commissario Albanese. Pensato, infatti, che era il diretto superiore del commissario Albanese, abitava a Lido di Venezia, e la fuga dall’Isola dei brigatisti sarebbe stata molto più difficile rispetto alle possibilità offerte in un attentato compiuto in terra ferma.
L’ipotesi del bersaglio più facile ricorda molto il Caso Moro e l’intervista al brigatista Mario Moretti di Sergio Zavoli nell’inchiesta per la Rai “La notte della Repubblica”. “Moro fu scelto come obiettivo da colpire perché altri esponenti democristiani vi parvero più protetti, o per altri motivi”? chiede Zavoli, dal momento che era noto che le Brigate rosse avevano studiato la possibità di rapire l’onorevole Andreotti e anche il senatore Fanfani. Ma l’ipotesi viene scartata da Moretti, secondo il quale “Fu per la figura emblematica di Aldo Moro. La storia politica di questo Paese non credo che ammetta spiegazioni diverse da questa”. Quello del “bersaglio più facile” insomma è una variante ricorrente nella storia delle Brigate rosse.
Secondo la testimonianza della signora Friggione, invece, più inquietante fu l’episodio dei due agenti dei servizi segreti, che pochi giorni prima dell’omicidio si presentarono nell’ufficio del marito, il commissario Albanese, per avere notizie sullo stato delle indagini sull’omicidio di Sergio Gori, vicepresidente della Montedison, sul quale Albanese stava lavorando. L’inchiesta coinvolgeva gruppi della sinistra militante legati alle Brigate Rosse e ad Autonomia Operaia e anche il traffico d’armi. C’è la deposizione del brigatista Peci al riguardo, che dichiara ai giudici che conducono le due inchieste per l ‘uccisione di Sergio Gori, direttore del Petrolchimico, che l’OLP aveva rifornito le Brigate rosse dì mitragliatrici pesanti, machine-pìstole, bombe “ananas” ed esplosivi. Le armi, arrivate a bordo di una barca a vela sarebbero state affidate alla “colonna Anna Maria Luddman” e custodite in un deposito a Mestre.
Il commissario Albanese liquida i due agenti dei servizi segreti dicendo di chiedere notizie delle sue indagini al suo superiore Pensato, al quale lui era tenuto a riferire. Gli agenti segreti vanno allora da Pensato, il quale dice che l’inchiesta è nelle mani del commissario Albanese e di chiedere tutto a lui. Così se ne vanno senza un nulla di fatto.
C’è da chiedersi allora, perché i servizi si stavano occupando delle indagini del commissario Albanese? E perché, a pochi giorni dalla visita degli agenti dei servizi, il commissario Albanese muore, ucciso delle Brigate rosse?
Sono interrogativi che rimarranno senza risposta, come altri episodi di quegli “Anni di piombo”.
Del resto, qualcuno può forse credere alla versione ufficiale del rapimento Moro (artefice del compromesso storico Dc Pci) del 16 marzo 1978? Quando con 91 colpi esplosi in rapida successione, 45 dei quali colpiscono a morte gli uomini della scorta, senza un graffio all’onorevole Moro. Due pistole mitragliatrici residuati bellici FNAB-43, due pistole, un mitra TZ-45 e un mitra Beretta M12 in mano a dei dilettanti? Evidentemente si è trattato di un blitz di stampo militare, effettuato da uomini addestrati. Non certo da degli apprendisti delle Brigate rosse!
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