LA MONTAGNA IN PAROLE E MUSICA
MARCO ANZOVINO Educatore e musicista | ANTONIO BORTOLUZZI Cantore della montagna |
Locandina dell’incontro
Articolo Giornale pre-incontro
Presentazione a cura di Rosalba Schenal
Buonasera, con Antonio e Marco, che ringrazio vivamente, si conclude questo ciclo di incontri, riprenderemo giovedì 21 settembre p.v. con Marco, la sua chitarra, la vita e la musica di un cantautore famoso.
Quindi auguro una buona estate.
Antonio Bortoluzzi è il cantore della montagna, di un mondo antico, ma ancora vivo nei paesi alti, lassù tra le genti e nella memoria di ieri che si fa voce del domani.
E’ nato a Puos d’Alpago e vive a Farra, finalista e vincitore di vari premi letterari, dal suo romanzo ” Come si fanno le cose ” è stata tratta l’omonima commedia teatrale.
Marco Anzovino, pordenonese, educatoire, musicoterapeuta, scrittore, docente.
Dal 2004 lavora nella Comunità, per il recupero di ragazzi tossicodipendenti ” Villa Renata ” al Lido di Venezia; collabora con l’Hospice di San Vito al Tagliamento, il CRO di Aviano, il Carcere di Udine, il Centro per i disturbi alimentari ” La Casa delle Farfalle “, il Ser.D di Pordenone e Belluno e decine di Centri di aggregazione giovanile.
E’ docente presso la Scuola di specializzazione di musicoterapia ” G. Ferrari ” di Padova.
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IL LIBRO
“Questa antologia racconta di chi siamo figli e figlie, di quale Novecento. E quale
montagna è nostra madre.”
Dall’introduzione di Antonio G. Bortoluzzi
“In questa antologia credo ci sia un paesaggio che oltre a prati, torrenti, alberi, case, stalle, strade, animali, montagne, cielo, nuvole e altri elementi fisici è costituito di tempo trascorso. Questo tempo trattiene delle esistenze, delle persone che ho conosciuto, concui ho vissuto e che non posso scordare: donne, uomini, ragazzi, bambine, vecchi che erano e sono una civiltà montana che ha portato fino a noi le sementi dello stare insieme a cantare, a dire, a raccontare. Come lo siamo stati in una caverna, attorno a un fuoco, in una stalla, in un cortìvo. E così il solitarismo alla moda che non ci porta nessuna libertà degna di questo nome; la rimozione dell’anima femminile della montagna; quella cesura tra mondo contadino millenario e realtà post industriale che abbiamo vissuto, sono i venti gelidi che ci hanno impaurito e reso fragili.
Ora possiamo ricominciare provando a coltivare ciò che non è ancora perduto per sempre: l’appartenenza a una comunità, un modo di stare insieme basato sul fare, sul lavoro, sulla fiducia, sulla cura di ciò che è rimasto ancora integro: la natura e la biodiversità, l’acqua e gli spazi aperti, il giardino prezioso e unico che è la montagna degli uomini e delle donne che hanno a cuore un luogo come fosse parte del loro stesso corpo.
Credo sia questa comunità il divenire di cui abbiamo bisogno, come il bacio di un vecchio che ci indica un destino e insieme ci augura una nuova primavera.”