Giovedì 25 ottobre alle ore 18.30 appuntamento al ristorante Taverna di Belluno per la presentazione del libro di Daniele Dell’Orco dal titolo “Non chiamateli Kamikaze”. L’iniziativa è dell’Associazione Liberal Belluno, presieduta da Rosalba Schenal, e fa parte della oramai consolidata rassegna culturale “Conversazioni in Taverna”.
Abbiamo contattato l’autore per una breve intervista di anticipazione sulla serata.
“Non chiamateli Kamikaze”, il titolo del tuo libro nel quale spieghi le differenze sostanziali tra i Kamikaze giapponesi della II^ Guerra mondiale e i fondamentalisti imbottiti di esplosivo che si fanno esplodere sembra una prescrizione per i giornalisti, sempre alle prese con sinonimi. Perché va evitata anche giornalisticamente questa semplificazione?
Una volta Fausto Biloslavo, uno dei più autorevoli cronisti di guerra italiani, mi confessò simpaticamente di essere tra i frequenti utilizzatori di questo termine, facendo un ironico mea culpa. In realtà, da giornalista, mi rendo perfettamente conto di quanto sia prerogativa di un comunicatore quella di rendere alcuni concetti difficili da spiegare più diretti possibili. E in effetti, specie dopo gli attentati dell’11 settembre e l’utilizzo di aerei (seppur civili) per compiere attacchi terroristici, l’analogia con i kamikaze giapponesi è diventata giornalisticamente efficace. Tuttavia, il mio vuole essere un monito contro la banalizzazione dei concetti. Un Fausto Biloslavo, che i terroristi suicidi li ha visti all’opera da molto vicino, può chiamarli come preferisce, perché non v’è dubbio che conosca una realtà del genere nel profondo e non corra dunque il rischio di distorcere il vero senso delle parole. Utilizzare kamikaze “per comodità” è un conto, farlo per ignoranza è un altro.
Il suicidio rientra nel codice d’onore di un samurai. L’ammiraglio Takijirō Ōnishi, comandante della flotta aerea giapponese nelle Filippine durante la II^ Guerra mondiale, si tolse la vita all’annuncio via radio della resa incondizionata dell’Impero giapponese. Nell’Occidente il suicidio era l’estrema ratio per non cadere nelle mani del nemico. Tra le due culture, dove si inserisce quella di matrice islamica dei guerriglieri suicidi?
Si colloca su un piano ben più “materiale”. A differenza di quanto accade in Occidente con la vita che, grazie anche alla morale cristiana, rappresenta il dono supremo e il bene da preservare ad ogni costo, nella tradizione nipponica questa è da sempre subordinata a tutta una serie di doveri, oneri e onori che per importanza la travalicano. Tra tutte le declinazioni che ne derivano c’è anche quella della privazione volontaria della vita stessa a difesa di qualcosa di ideale, non di materiale. Molti kamikaze, infatti, non portarono mai a termine le loro missioni o perirono senza riuscire ad arrecare alcun danno al nemico. Eppure per loro il gesto rappresentava l’affermazione massima della giapponesità, che anche grazie a loro sarebbe sopravvissuta persino alle bombe atomiche.
Pur con tutte le differenze del caso, invece, la pratica del suicidio di matrice islamica nasce con basi quantomeno simili (la rivoluzione iraniana iniziò grazie al martirio di diversi civili) ma in epoca contemporanea si è trasformata talvolta una mera bomba intelligente, talaltra in un mezzo propagandistico.
Nel 2018 in Italia nessuna religione, setta, o formazione paramilitare sarebbe in grado di trovare volontari italiani disposti al suicidio per un qualsiasi ideale o progetto. Perché in altre parti del
mondo questo è ancora possibile?
Perché in quella deriva occidentecentrica che caratterizza le nostre vite siamo abituati a pensare che in tutto il mondo sia in atto una strabiliante opera di secolarizzazione e di trionfo della ragione. Al contrario, invece, il numero dei fedeli dei vari culti religiosi cresce di pari passo con l’aumento del tasso globale di natalità. Per non parlare della diffusione di fedi “laiche” ma talvolta intrise di fanatismo. Anche, ma non solo, in nome di questi culti la salvaguardia della tradizione, della cultura e dell’identità dei popoli può spingere le persone a cercare di dare un senso alla propria vita semplicemente sacrificandola.
(rdn)
Daniele Dell’Orco è nato nel 1989. Laureato in di Scienze della comunicazione presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, frequenta il corso di laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della comunicazione e dell’editoria nel medesimo ateneo. Caporedattore del sito Ciaocinema.it dal 2011 al 2013 e direttore editoriale del sito letterario Scrivendovolo.com, da febbraio 2015 è collaboratore del quotidiano Libero, oltre a scrivere per diversi giornali e siti internet come La Voce di Romagna e Sporteconomy.it. Ha scritto “Tra Lenin e Mussolini: la storia di Nicola Bombacci” (Historica edizioni) e, sempre per Historica, l’ebook “Rita Levi Montalcini – La vita e le scoperte della più grande scienziata italiana”, scritto in collaborazione con MariaGiovanna Luini e Francesco Giubilei. Assieme a Francesco Giubilei, per Giubilei Regnani Editore, ha scritto il pamphlet “La rinascita della cultura”. Dal 2015 è co-fondatore e responsabile dell’attività editoriale di Idrovolante Edizioni.